IL TRIBUNALE

    All'udienza  del  20  settembre  2003  ha pronunciato la seguente
ordinanza  di  rimessione  alla  Corte costituzionale di questione di
legittimita' sollevata in via incidentale.
    In  data  19 settembre 2003 il personale della stazione c.c. Roma
S.  Paolo traeva in arresto Seferovic Munib nato Sarajevo (Bosnia) 24
anni  fa,  per il reato di cui all'art. 14, comma 5-quinquies, d.lgs.
n. 286  del 1998, come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189;
presentato  all'odierna  udienza  per la convalida dell'arresto ed il
contestuale  giudizio  direttissimo, sentita la relazione dell'agente
operante   ed  effettuato  l'interrogatorio  dell'imputato,  il  p.m.
chiedeva  convalidarsi  l'arresto  ai  sensi  del  comma  5-quinquies
dell'art. 14 d.lgs. citato; il difensore si associava.
    Ritiene  il  giudice  che  debba  essere  sollevata  questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 14,  comma 5-quinquies d.lgs.
cit. in riferimento agli artt. 13, comma 3, e 3 della Costituzione.
    In  via  preliminare,  va rilevato come non possa dubitarsi della
legittimita'  dell'operato  della  p.g.  che  ha  adottato  la misura
restrittiva  della liberta' personale nella flagranza di un reato per
il  quale  e' attualmente previsto l'arresto obbligatorio; gli stessi
agenti  peraltro  hanno  ritualmente  presentato  l'arrestato  per la
convalida, onde nessun rilievo puo' essere mosso agli agenti.
    Sempre  in  via  preliminare va rilevato come la questione che si
intende  qui  sollevare  non  abbia certamente perso la sua rilevanza
anche  qualora il giudice rimetta in liberta' l'arrestato, atteso che
comunque deve essere accertata la legittimita' dell'arresto eseguito,
che   nella   fattispecie  verrebbe  meno  ove  fosse  dichiarata  la
illegittimita'  costituzionale  della disposizione in base alla quale
esso e' stato operato (cfr. Corte cost. 16 febbraio 1993, n. 54).
    Venendo  ora  all'esame  del merito, va rilevato come la norma di
cui  all'art. 13  Cost.,  oltre  ad affermare la inviolabilita' della
liberta'  personale  ed  a prevedere una espressa riserva di legge in
materia,  preveda  un principio generale secondo il quale la liberta'
della   persona   puo'   essere  ristretta  solo  con  atto  motivato
dell'autorita' giudiziaria; l'unica deroga contemplata dalla norma in
esame  e'  prevista  al  comma  3,  ove  si afferma che l'adozione di
provvedimenti  provvisori  e'  consentita  all'autorita'  di pubblica
sicurezza  solo  in  presenza  di casi eccezionali di necessita' e di
urgenza indicati tassativamente dalla legge.
    A  proposito  del  significato  del termine eccezionale, la Corte
costituzionale  ha ritenuto che esso non e' legato alla rarita' della
fattispecie considerata, bensi' al suo porsi al di fuori della regola
ordinaria   e   che   pertanto  tale  requisito  non  puo'  ritenersi
contraddetto  dalla  frequenza  e  dalla  prevedibilita' dei fatti di
violazione  della  norma  incriminatrice (cfr. sentenza n. 64/1977 in
tema  di  art. 9  legge  n. 1423/1956).  Nessun ulteriore dubbio puo'
pertanto  essere  sollevato  -  alla luce della citata decisione - in
relazione  alla  presenza  nel  caso  in  esame  del  requisito della
eccezionalita'.
    Diversa  conclusione  deve  -  ad  avviso  del  giudice  - essere
raggiunta  a  proposito  degli ulteriori requisiti della necessita' e
dell'urgenza;  sul  punto,  va  ricordato  come la Corte stessa abbia
ritenuto che «... gli estremi della necessita' ed urgenza affidati al
prudente  apprezzamento  degli organi di polizia nell'esercizio della
funzione  di pubblica sicurezza ... vanno visti sia in relazione alle
esigenze  dell'acquisizione  e  della  conservazione delle prove, sia
soprattutto  alle  qualita' morali del soggetto attivo, cioe' piu' in
generale  agli elementi subiettivi indicati dall'art. 133 c.p.» (cfr.
Corte cost. n. 173/1971).
    Nel  sistema  vigente,  la  misura  dell'arresto  obbligatorio e'
prevista  infatti  nei  casi  di  flagranza  di  reati  connotati  da
particolare gravita', ossia quelli per i quali la legge stabilisce la
pena  dell'ergastolo  o  della  reclusione non inferiore nel minimo a
cinque  anni  e nel massimo a venti (art. 380, comma 1, c.p.p.) e nei
casi  di flagranza di altri reati, specificamente indicati (art. 380,
comma  2,  c.p.p.)  che  sono  stati individuati dal legislatore come
caratterizzati  da  speciali  esigenze  di tutela della collettivita'
(cfr. legge delega 16 febbraio 1987, n. 81).
    In  tutti questi casi la necessita' e l'urgenza sono insite nella
natura  stessa  dei  reati  per  i  quali la misura in esame e' stata
prevista,  reati che sono oggettivamente e concretamente suscettibili
di compromettere le citate esigenze.
    Il  reato  di  cui  all'art.  14,  comma 5, d.lgs. citato, che ha
natura    contravvenzionale,    consiste    invece   nella   semplice
inottemperanza  da  parte  dello  straniero  all'ordine di espulsione
emanato  dal  questore,  in  assenza  di  giustificato motivo. Questa
violazione  si  pone  dunque su un piano del tutto diverso rispetto a
quello  dei reati appena considerati: in particolare, la condotta che
lo  integra  non  e'  suscettibile  di  destare  - ne' oggettivamente
considerata,  ne'  valutata  in  relazione alle condizioni soggettive
dell'agente  -  particolare  allarme sociale, tale da giustificare di
per  se'  l'adozione  immediata  di un provvedimento limitativo della
liberta' personale, quale quello previsto dalla nuova normativa.
    Sul  punto,  va  evidenziato come nel caso di specie per espresso
dettato  normativo  non  sia consentita - mancandone i presupposti di
legge  - l'applicazione di alcuna misura cautelare; l'arresto operato
dalla  p.g.  e'  pertanto  destinato ad esaurire i suoi effetti ancor
prima  dell'udienza  di convalida: la norma di cui all'art. 121 disp.
att.  c.p.p.  stabilisce  infatti  che  quando il p.m. ritenga di non
dover  chiedere  l'applicazione  di misure coercitive - ed ancor piu'
evidentemente  quando  non  possa richiedere tali misure - egli debba
disporre  l'immediata  liberazione  dell'arrestato  o del fermato. Il
provvedimento  contemplato dalla norma in esame si discosta dunque da
quella  che  e'  la  finalita'  propria  dell'arresto  - generalmente
precautelare   -   ossia   strettamente  funzionale  alla  successiva
applicazione di una misura cautelare da parte dell'A.G.
    Ne'  puo'  sostenersi  che  i  requisiti  in esame possano essere
individuati con riferimento alla necessita' di instaurare il giudizio
con rito direttissimo, posto che, per le considerazioni sopra svolte,
tale  giudizio  si  svolgera'  necessariamente  nei  confronti  di un
imputato in stato di liberta'.
    Ancora, va rilevato come la necessita' e l'urgenza di limitare la
liberta'   dello   straniero   nel   caso   di   specie  non  trovino
giustificazione nemmeno in relazione al fine - peraltro estraneo alle
finalita'  proprie  dell'istituto  -  di  rendere  possibile  la  sua
successiva  espulsione  dal  territorio  dello  Stato; il comma 5-ter
dell'art. 14,  prevede  infatti che in tale caso l'espulsione avviene
sempre  mediante accompagnamento alla frontiera, e dunque - in base a
tale   disposizione   -   e'   in  ogni  caso  garantito  l'effettivo
allontanamento dello straniero dal territorio nazionale. L'inutilita'
della  misura  in  esame  al  fine indicato traspare poi con maggiore
evidenza   nell'ipotesi   in  cui  non  sia  possibile  eseguire  con
immediatezza  l'espulsione, ipotesi nella quale il questore, ai sensi
del  comma  5-quinquies  dell'art. 14, puo' disporre che lo straniero
sia  trattenuto  in un centro di permanenza temporanea, per la durata
di trenta giorni, prorogabili per ulteriori trenta.
    Infine,  appare di immediata evidenza la assoluta irrilevanza del
provvedimento   restrittivo   in  esame  in  relazione  ad  eventuali
finalita'  di  acquisizione  o  conservazione  della prova del reato,
certamente non compromesse ove il soggetto resti in liberta'.
    La  restrizione della liberta' personale dello straniero prevista
dalla  norma  in  esame  e'  dunque priva di ogni concreta utilita' e
appare   in  conclusione  fine  a  se'  stessa  e  quindi  del  tutto
irragionevole,   in   contrasto  con  quanto  affermato  dalla  Corte
costituzionale  nella  sentenza  n. 244  del  1974,  laddove e' stata
riconosciuta  nella  materia  in  questione ampia discrezionalita' al
legislatore,   discrezionalita'   limitata   solo   dalla   manifesta
irragionevolezza delle scelte operate.
    La   ritenuta   irragionevolezza  della  previsione  dell'arresto
obbligatorio  nel  caso  di  specie consente di ritenere la misura in
esame  manifestamente  discriminatoria nei confronti di una categoria
di  persone socialmente sfavorite e consente dunque di dubitare della
conformita' della stessa al dettato dell'art. 3 Cost.
    Ben  diversa  sarebbe la situazione qualora il legislatore avesse
previsto  -  nel  caso  in  esame  -  la facoltativita' dell'arresto,
lasciando  all'autorita'  di p.s. una discrezionalita' da esercitarsi
in  presenza  di  determinate  situazioni  soggettive  che rendessero
concretamente  necessario  ed  urgente  l'intervento  di  p.s., fermo
restando  il  controllo  dell'autorita'  giudiziaria  sulla effettiva
esistenza  di  tali  requisiti,  cosi' come si puo' argomentare dalla
sentenza  n. 64  del  1977, relativa ad una questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 9, legge n. 1423/1956; in tale occasione la
Corte  ha  infatti affermato la conformita' al dettato costituzionale
della  norma  citata proprio in quanto prevede una ipotesi di arresto
facoltativo e non obbligatorio.